Stratotipo del Piacenziano
Dalla fine del Settecento nei terreni argillosi e sabbiosi dell'area orientale dell'Appennino piacentino, ed in particolare lungo le ripide pareti dei calanchi e nelle incisioni di piccoli rii delle valli del Nure, Chiavenna, Arda e Ongina, venivano alla luce le testimonianze fossili del "mare pliocenico".
Ma già tre secoli prima Leonardo da Vinci, che per primo riconobbe l'origine organica dei resti fossili, ebbe modo di vedere le conchiglie raccolte nel Piacentino mentre si trovava a Milano dove stava lavorando alla statua equestre di Francesco Sforza ed una citazione su questi fossili, che il maestro chiamava nichi, e sui luoghi dai quali provenivano è riportata nel celeberrimo Codice Leicester (folio 9 verso).
Chi contribuì maggiormente alla ricerca ed alla conoscenza del Pliocene locale fu Giuseppe Cortesi, consigliere del tribunale di Piacenza e successivamente professore onorario di geologia all'Università di Parma. Egli si appassionò talmente alla ricerca da stipendiare degli osservatori per tenere sotto controllo le aree con il compito di avvisarlo nel caso affiorassero frammenti scheletrici ed in breve potè riunire, oltre alle conchiglie, diversi e grandiosi resti di rinoceronte, elefanti, ma soprattutto delfini e balenottere.
I numerosi scheletri fossili raccolti dal Cortesi prima del 1809 vennero acquistati dal regno Lombardo Veneto e successivamente trasferiti nel Museo di storia naturale di Milano dove furono tutti distrutti durante il secondo conflitto mondiale. Il materiale riunito dal naturalista dopo il 1809 venne invece acquistato dal governo parmense nel 1841 per il Gabinetto di storia naturale dell'università che successivamente acquistò anche gli scheletri fossili di altri cetacei rinvenuti sui collli piacentini da un altro ricercatore locale, Giovanni Podestà di Castell'Arquato.
L'importanza e la grande varietà di esemplari fossili, specialmente per quanto riguarda la malacologia, richiamarono a più riprese l'attenzione di numerosi studiosi tra cui il Brocchi che nella sua "Conchiologia fossile subappenninna" nel 1814 presenta la propria collezione (una delle più note raccolte del Terziario europeo), oggi conservata al Museo di storia naturale di Milano, in cui sono presenti anche diversi reperti provenienti da Castell'Arquato.
Anche Georges Cuvier si interessò dei fossili rinvenuti in Valchiavenna e in Valdarda visitando personalmente la collezione del Cortesi che citò infatti nelle sue opere. In effetti l'interesse per il ritrovamenti effettuati nel territorio piacentino era in quel periodo accresciuto dal fatto che gran parte delle collezioni locali venivano vendute all'estero e questo concorse a disseminare per i maggiori musei europei i fossili della Val d'Arda aumentando negli studiosi di vari paesi l'interesse per questa località.
Allo svizzero Carl Mayer si deve l'istituzione nel 1858 di un piano geologico che prende il nome dalla provincia di Piacenza: il Piacenziano (Piacenzische stufe) utilizzato per indicare quelle "Blue mergel", di cui proprio la Val d' Arda è la zona più tipica.
Successivamente, nel 1865 Pareto L. suggerì di assumere come "sezione tipo" del Piacenziano la successione di strati affioranti in sinistra idrografica del torrente Arda tra gli abitati di Lugagnano e Castell'Arquato.
Recentemente la comunità scientifica ha ripreso il concetto di Piacenziano ridefinendo i limiti temporali e, soprattutto, proponendo di riutilizzare come base di confronto quel tratto di stratotipo compreso tra Monte Giogo e Castell'Arquato, non interessato da lacune sedimentarie, dove le associazioni faunistiche ben documentano le "estinzioni" causate dal deterioramento climatico che accompagna la formazione della calotta artica.
La straordinaria abbondanza di resti fossili che caratterizza questi sedimenti ed il loro ottimo stato di conservazione costituiscono inoltre un punto di partenza e/o di arrivo per coloro che si interessano delle problematiche connesse all'evoluzione del popolamento faunistico del bacino del Mediterraneo e, soprattutto, alle variazioni faunistiche che accompagnano l'evoluzione ambientale di un bacino.